DIALOGO DI UN FOLLETTO E DI UNO GNOMO

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22 dicembre 2014 di vincenzosardiello

Luigi Lerna - Festina Lente - TM su legno - 30x60 cm. luigilerna.it

Luigi Lerna – Festina Lente – TM su legno – 30×60 cm. luigilerna.it

Quinto appuntamento con le Operette Morali di Giacomo Leopardi. Dialogo di un folletto e di uno gnomo, composta a Recanati nel marzo del 1824, ripropone nella struttura narrativa la forma dialogica.

Uno gnomo, abitante delle profondità della Terra, viene mandato in esplorazione per scoprire cosa stia accadendo al mondo esterno e agli uomini. Da troppo tempo la vita degli gnomi non è disturbata dalla ricerca di metalli preziosi e, il timore che si stia preparando una sciagura peggiore, ha ispirato la missione. Alle domande dello gnomo risponderà un folletto, spirito dell’aria, che racconta la dinamica dei fatti.

Folletto. Voi gli aspettate invan: son tutti morti, diceva la chiusa di una tragedia dove morivano tutti i personaggi.
Gnomo. Che vuoi tu inferire?
Folletto. Voglio inferire che gli uomini sono tutti morti, e la razza è perduta.
Gnomo. Oh cotesto è caso da gazzette. Ma pure fin qui non s’è veduto che ne ragionino.
Folletto. Sciocco, non pensi che, morti gli uomini, non si stampano più gazzette?
Gnomo. Tu dici il vero. Or come faremo a sapere le nuove del mondo?
Folletto. Che nuove? che il sole si è levato o coricato, che fa caldo o freddo, che qua o là è piovuto o nevicato o ha tirato vento? Perché, mancati gli uomini, la fortuna si ha cavato via la benda, e messosi gli occhiali e appiccato la ruota a un arpione, se ne sta colle braccia in croce a sedere, guardando le cose del mondo senza più mettervi le mani; non si trova più regni né imperi che vadano gonfiando e scoppiando come le bolle, perché sono tutti sfumati; non si fanno guerre, e tutti gli anni si assomigliano l’uno all’altro come uovo a uovo.
Gnomo. Né anche si potrà sapere a quanti siamo del mese, perché non si stamperanno più lunari.
Folletto. Non sarà gran male, che la luna per questo non fallirà la strada.
Gnomo. E i giorni della settimana non avranno più nome.
Folletto. Che, hai paura che se tu non li chiami per nome, che non vengano? o forse ti pensi, poiché sono passati, di farli tornare indietro se tu li chiami?
Gnomo. E non si potrà tenere il conto degli anni.
Folletto. Così ci spacceremo per giovani anche dopo il tempo; e non misurando l’età passata, ce ne daremo meno affanno, e quando saremo vecchissimi non istaremo aspettando la morte di giorno in giorno.

Il folletto rivela, anche con una certa brutalità, che gli uomini si sono estinti. Di fronte ad una notizia di portata così drammatica si scopre immediatamente che, tutto sommato, alla vita della terra e alle dinamiche dell’universo la presenza o l’assenza degli uomini non muta alcun equilibrio.

In questo breve stralcio emergono due punti: il primo una ironia particolarmente pungente sulla figura del giornalista, descritto come semplice descrittore dell’inutile e, purtroppo, l’inattualità sul pensiero che la terra non avrebbe alcun mutamento con la scomparsa degli uomini.

Sicuramente il pianeta se all’improvviso dovessero scomparire gli esseri umani ne trarrebbe un grande giovamento e si ricostituirebbero degli equilibri naturali che purtroppo sono scomparsi a causa dell’azione dell’uomo.

Gnomo. Ma come sono andati a mancare quei monelli?
Folletto. Parte guerreggiando tra loro, parte navigando, parte mangiandosi l’un l’altro, parte ammazzandosi non pochi di propria mano, parte infracidando nell’ozio, parte stillandosi il cervello sui libri, parte gozzovigliando, e disordinando in mille cose; in fine studiando tutte le vie di far contro la propria natura e di capitar male.
Gnomo. A ogni modo, io non mi so dare ad intendere che tutta una specie di animali si possa perdere di pianta, come tu dici.
Folletto. Tu che sei maestro in geologia, dovresti sapere che il caso non è nuovo, e che varie qualità di bestie si trovarono anticamente che oggi non si trovano, salvo pochi ossami impietriti. E certo che quelle povere creature non adoperarono niuno di tanti artifizi che, come io ti diceva, hanno usato gli uomini per andare in perdizione.
Gnomo. Sia come tu dici. Ben avrei caro che uno o due di quella ciurmaglia risuscitassero, e sapere quello che penserebbero vedendo che le altre cose, benché sia dileguato il genere umano, ancora durano e procedono come prima, dove essi credevano che tutto il mondo fosse fatto e mantenuto per loro soli.
Folletto. E non volevano intendere che egli è fatto e mantenuto per li folletti.
Gnomo. Tu folleggi veramente, se parli sul sodo.
Folletto. Perché? io parlo bene sul sodo.
Gnomo. Eh, buffoncello, va via. Chi non sa che il mondo e fatto per gli gnomi?
Folletto. Per gli gnomi, che stanno sempre sotterra? Oh questa e la più bella che si possa udire. Che fanno agli gnomi il sole, la luna, l’aria, il mare, le campagne?
Gnomo. Che fanno ai folletti le cave d’oro e d’argento, e tutto il corpo della terra fuor che la prima pelle?
Folletto. Ben bene, o che facciano o che non facciano, lasciamo stare questa contesa, che io tengo per fermo che anche le lucertole e i moscherini si credano che tutto il mondo sia fatto a posta per uso della loro specie. E però ciascuno si rimanga col suo parere, che niuno glielo caverebbe di capo: e per parte mia ti dico solamente questo, che se non fossi nato folletto, io mi dispererei.
Gnomo. Lo stesso accadrebbe a me se non fossi nato gnomo. Ora io saprei volentieri quel che direbbero gli uomini della loro presunzione, per la quale, tra l’altre cose che facevano a questo e a quello, s’inabissavano le mille braccia sotterra e ci rapivano per forza la roba nostra, dicendo che ella si apparteneva al genere umano, e che la natura gliel’aveva nascosta e sepolta laggiù per modo di burla, volendo provare se la troverebbero e la potrebbero cavar fuori.
Folletto. Che maraviglia? quando non solamente si persuadevano che le cose del mondo non avessero altro uffizio che di stare al servigio loro, ma facevano conto che tutte insieme, allato al genere umano, fossero una bagattella. E però le loro proprie vicende le chiamavano rivoluzioni del mondo, e le storie delle loro genti, storie del mondo: benché si potevano numerare, anche dentro ai termini della terra, forse tante altre specie, non dico di creature, ma solamente di animali, quanti capi d’uomini vivi: i quali animali, che erano fatti espressamente per coloro uso, non si accorgevano però mai che il mondo si rivoltasse.

Sulle dinamiche dell’estinzione umana ci sono delle peculiarità uniche.

Mentre tutte le altre specie animali hanno dovuto ad una causa esterna la loro scomparsa, per gli uomini la causa della propria estinzione è da ricercarsi in loro stessi.

Guerre, ricerche inutili, vizi, vuota erudizione, sono state solo alcune delle armi che hanno inflitto colpi tremendi al destino degli uomini.

La prima causa è però da ricercarsi nella vanità. Il sentirsi indispensabili per l’universo, il pensare di essere padroni del mondo e della natura, il reputarsi a immagine e somiglianza di Dio ha condotto verso un inevitabile suicidio.

Folletto. Ma ora che ei sono tutti spariti, la terra non sente che le manchi nulla, e i fiumi non sono stanchi di correre, e il mare, ancorché non abbia più da servire alla navigazione e al traffico, non si vede che si rasciughi.
Gnomo. E le stelle e i pianeti non mancano di nascere e di tramontare, e non hanno preso le gramaglie.
Folletto. E il sole non s’ha intonacato il viso di ruggine; come fece, secondo Virgilio, per la morte di Cesare: della quale io credo ch’ei si pigliasse tanto affanno quanto ne pigliò la statua di Pompeo.

In conclusione in dialogo, in maniera molto amara, ribadisce l’inessenzialità dell’uomo per il mondo. Il ribadire questo concetto, però, rende chiaro un aspetto non secondario: la presenza dell’uomo dà un senso spirituale alla natura che altrimenti si riduce ad una vuota meccanica.

Ma quest’uomo vanitoso ed egoista è in grado di comprendere ciò.

Un dialogo frizzante che racconta molto il deserto del nostro vivere contemporaneo ed anticipa i temi cari alle poetiche del ‘900.

Sedetti sulla riva
A pescare, con la pianura arida dietro di me
Riuscirò alla fine a porre ordine nelle mie terre?
Il London Bridge sta cadendo sta cadendo sta cadendo
Poi s’ascose nel foco che gli affina
Quando fiam uti chelidon –
O rondine rondine Le Prince d’Aquitaine à la tour abolie
Con questi frammenti ho puntellato le mie rovine
Bene allora v’accomodo io. Hieronymo è pazzo di nuovo.
Datta. Dayadhvam. Damyata.
Shantih shantih shantih

Forse, come ci dice Eliot, dobbiamo solo attendere che arrivi in questo deserto una pioggia catartica. Per il momento sforziamoci di puntellare le rovine del nostro spirito.

Buon Natale.

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