DIALOGO DELLA NATURA E DI UN’ANIMA
Lascia un commento7 gennaio 2015 di vincenzosardiello
Settimo appuntamento con le Operette Morali di Giacomo Leopardi. Dialogo della Natura e di un Anima, composta a Recanati nell’aprile del 1824, continua a percorrere le vie della felicità, o meglio, della infelicità.
“Natura. Va, figliuola mia prediletta, che tale sarai tenuta e chiamata per lungo ordine di secoli. Vivi, e sii grande e infelice.
Anima. Che male ho io commesso prima di vivere, che tu mi condanni a cotesta pena?Natura. Che pena, figliuola mia?
Anima. Non mi prescrivi tu di essere infelice?
Natura. Ma in quanto che io voglio che tu sii grande, e non si può questo senza quello. Oltre che tu sei destinata a vivificare un corpo umano; e tutti gli uomini per necessità nascono e vivono infelici.
Anima. Ma in contrario saria di ragione che tu provvedessi in modo, che eglino fossero felici per necessità; o non potendo far questo, ti si converrebbe astenere da porli al mondo.
Natura. Né l’una né l’altra cosa è in potestà mia, che sono sottoposta al fato; il quale ordina altrimenti, qualunque se ne sia la cagione; che né tu né io non la possiamo intendere. Ora, come tu sei stata creata e disposta a informare una persona umana, già qualsivoglia forza, né mia né d’altri, non è potente a scamparti dall’infelicità comune degli uomini. Ma oltre di questa, te ne bisognerà sostenere una propria, e maggiore assai, per l’eccellenza della quale io t’ho fornita.
Anima. Io non ho ancora appreso nulla; cominciando a vivere in questo punto: e da ciò dee provenire ch’io non t’intendo. Ma dimmi, eccellenza e infelicità straordinaria sono sostanzialmente una cosa stessa? o quando sieno due cose, non le potresti tu scompagnare l’una dall’altra?“.
In un luogo metafisico, forse l’Iperuranio, la natura spiega ad un’anima che il destino che la attende è l’infelicità. Sulla terra, tuttavia, avrà l’onore di raggiungere vette nel campo del pensiero che renderanno il suo ricordo immortale.
“Natura. Nelle anime degli uomini, e proporzionatamente in quelle di tutti i generi di animali, si può dire che l’una e l’altra cosa sieno quasi il medesimo: perché l’eccellenza delle anime importa maggiore intensione della loro vita; la qual cosa importa maggior sentimento dell’infelicità propria; che e come se io dicessi maggiore infelicità. Similmente la maggior vita degli animi inchiude maggiore efficacia di amor proprio, dovunque esso s’inclini, e sotto qualunque volto si manifesti: la qual maggioranza di amor proprio importa maggior desiderio di beatitudine, e però maggiore scontento e affanno di esserne privi, e maggior dolore delle avversità che sopravvengono. Tutto questo è contenuto nell’ordine primigenio e perpetuo delle cose create, il quale io non posso alterare. Oltre di ciò, la finezza del tuo proprio intelletto, e la vivacità dell’immaginazione, ti escluderanno da una grandissima parte della signoria di te stessa. Gli animali bruti usano agevolmente ai fini che eglino si propongono, ogni loro facoltà e forza. Ma gli uomini rarissime volte fanno ogni loro potere; impediti ordinariamente dalla ragione e dall’immaginativa; le quali creano mille dubbietà nel deliberare, e mille ritegni nell’eseguire. I meno atti o meno usati a ponderare e considerare seco medesimi, sono i più pronti al risolversi, e nell’operare i più efficaci. Ma le tue pari, implicate continuamente in loro stesse, e come soverchiate dalla grandezza delle proprie facoltà, e quindi impotenti di se medesime, soggiacciono il più del tempo all’irresoluzione, così deliberando come operando: la quale è l’uno dei maggiori travagli che affliggano la vita umana. Aggiungi che mentre per l’eccellenza delle tue disposizioni trapasserai facilmente e in poco tempo, quasi tutte le altre della tua specie nelle conoscenze più gravi, e nelle discipline anco difficilissime, nondimeno ti riuscirà sempre o impossibile o sommamente malagevole di apprendere o di porre in pratica moltissime cose menome in sé, ma necessarissime al conversare cogli altri uomini; le quali vedrai nello stesso tempo esercitare perfettamente ed apprendere senza fatica da mille ingegni, non solo inferiori a te, ma spregevoli in ogni modo. Queste ed altre infinite difficoltà e miserie occupano e circondano gli animi grandi. Ma elle sono ricompensate abbondantemente dalla fama, dalle lodi e dagli onori che frutta a questi egregi spiriti la loro grandezza, e dalla durabilità della ricordanza che essi lasciano di sé ai loro posteri.
Anima. Ma coteste lodi e cotesti onori che tu dici, gli avrò io dal cielo, o da te, o da chi altro?
Natura. Dagli uomini: perché altri che essi non li può dare.”
La natura svela all’anima che più si cresce rispetto agli altri uomini, più si acuisce la consapevolezza dell’impossibilità di raggiungere la felicità. Per sfuggire a questo pericolo c’è solo una soluzione essere retrocesso dai ruoli elevati.
Una lezione ben compresa dalla democrazia contemporanea che nella convinzione di concedere a tutti il proprio spazio di felicità, relega ad una condizione di livellamento verso il basso in nome di una presunta uguaglianza.
Resta di fatto, però, il bivio di fronte al quale si trova l’anima a cui risponde, chiedendo:
“Anima. Dunque alluogami, se tu m’ami, nel più imperfetto: o se questo non puoi, spogliata delle funeste doti che mi nobilitano, fammi conforme al più stupido e insensato spirito umano che tu producessi in alcun tempo.
Natura. Di cotesta ultima cosa io ti posso compiacere; e sono per farlo; poiché tu rifiuti l’immortalità, verso la quale io t’aveva indirizzata.
Anima. E in cambio dell’immortalità, pregoti di accelerarmi la morte il più che si possa.
Natura. Di cotesto conferirò col destino.”
L’anima rinuncia ai sogni di grandezza pur di far parte della fazione che meno soffre l’infelicità.
La natura, come più volte sottolinea nel dialogo, non ha alcun potere nel contrasto al male dell’infelicità che, evidentemente, non le appartiene.
Appartiene invece, e come, all’uomo, ed in particolare alla sua società che è retta sulla ricerca di una felicità incarnata su schemi che nulla hanno a che vedere con la natura umana.
“Nella civiltà occidentale contemporanea, l’unione col gruppo è la maniera più frequente per superare l’isolamento. È un’unione in cui l’individuo si annulla in una vasta comunità, e il suo scopo è quello di far parte del gregge. Se io sono uguale agli altri, sia nelle idee che nei costumi, non posso avere la sensazione di essere diverso. Sono salvo: salvo dal terrore della solitudine. Il sistema dittatoriale si vale di minacce e di terrore per ottenere questa uniformità; i paesi democratici, di suggestione e propaganda.”
Erich Fromm, L’arte di amare, 1956