ELOGIO DEGLI UCCELLI

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5 giugno 2015 di vincenzosardiello

Egon Schiele - Autoritratto con vaso nero - 1911

Egon Schiele – Autoritratto con vaso nero – 1911

Diciassettesimo appuntamento con le Operette Morali di Giacomo Leopardi. Oggetto della nostra analisi è l’operetta “Elogio degli uccelli”.

L’operetta si apre con una scena di pura serenità: il filosofo Amelio si apparta in campagna in una giornata di primavera per dedicarsi ai suoi studi respirando un pò di aria buona. La sua attenzione, però, viene calamitata dal canto degli uccelli. In quel momento decide di prendere la penna e di dedicare alcune riflessioni proprio su queste creature.

Sono gli uccelli naturalmente le più liete creature del mondo. Non dico ciò in quanto se tu li vedi o gli odi, sempre ti rallegrano; ma intendo di essi medesimi in sé, volendo dire che sentono giocondità e letizia più che alcuno altro animale.

Gli uccelli sembrano essere gli animali più felici ed ostentano la loro felicità con il loro canto allegro e soave che riesce a trasmettere sensazioni positive ed un sorriso agli uomini che altrimenti non potrebbero conoscere.

E ciò credo io che nasca principalmente, non dalla soavità de’ suoni, quanta che ella si sia, né dalla loro varietà, né dalla convenienza scambievole; ma da quella significazione di allegrezza che è contenuta per natura, sì nel canto in genere, e sì nel canto degli uccelli in ispecie. Il quale è, come a dire, un riso, che l’uccello fa quando egli si sente star bene e piacevolmente.”

Gli uccelli partecipano al privilegio che ha l’uomo nel ridere e probabilmente proprio su questa sua peculiarità si può giungere ad una nuova definizione di essere umano come animale risibile trasferendo la sua virtù principale dalla ragione al riso.

Il ridere è una attitudine che accompagna tutti gli uomini, anche coloro i quali hanno compreso la vacuità dell’esistenza e l’ineluttabile dolore che la circonda.

“Anzi, quanto conoscono meglio la vanità dei predetti beni, e l’infelicità della vita; e quanto meno sperano, e meno eziandio sono atti a godere; tanto maggiormente sogliono i particolari uomini essere inclinati al riso. La natura del quale generalmente, e gl’intimi principii e modi, in quanto si è a quella parte che consiste nell’animo, appena si potrebbero definire e spiegare; se non se forse dicendo che il riso e specie di pazzia non durabile, o pure di vaneggiamento e delirio. Perciocché gli uomini, non essendo mai soddisfatti né mai dilettati veramente da cosa alcuna, non possono aver causa di riso che sia ragionevole e giusta. Eziandio sarebbe curioso a cercare, donde e in quale occasione più verisimilmente, l’uomo fosse recato la prima volta a usare e a conoscere questa sua potenza. Imperocché non è dubbio che esso nello stato primitivo e selvaggio, si dimostra per lo più serio, come fanno gli altri animali; anzi alla vista malinconico. Onde io sono di opinione che il riso, non solo apparisse al mondo dopo il pianto, della qual cosa non si può fare controversia veruna; ma che penasse un buono spazio di tempo a essere sperimentato e veduto primieramente.”

Gli uccelli, a differenza degli uomini, sono più portati naturalmente all’allegria e alla felicità. Per loro natura cambiano spesso luoghi, non hanno una casa abituale, provano la vita secondo diverse sfaccettature, esercitano il loro corpo, hanno come obiettivo solo quello di soddisfare le loro funzioni essenziali essendo immuni dall’ambizione.

Vivendo in questa maniera gli uccelli non cadono vittima della noia e possono godere di tutto ciò che li circonda a pieno senza aver costruito alcun tipo di illusione.

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