RITRATTI DI DONNA
Lascia un commento13 aprile 2016 di vincenzosardiello
Propongo, a seguire, la relazione presentata nel corso della presentazione del volume “Ritratti di donna”.
“Ritratti di donna racchiude uno sforzo di chiarificazione su un tema chiave per la crescita e lo sviluppo della comunità, non solo di Erchie, ma dell’intero territorio nazionale.
Risulta del tutto evidente come la ricerca condotta non abbia finalità universalistiche, ma voglia soffermarsi sull’immagine che i cittadini di Erchie hanno della figura femminile. Non sfugge, tuttavia, che i risultati della ricerca confermino alcune percezioni presenti nella società italiana.
Erchie, con i suoi circa 9.000 abitanti, si presta naturalmente ad una indagine qualitativa di questo tipo. La comunità brindisina, tradizionalmente caratterizzata per una economia agricola, testimonia nelle parole dei suoi abitanti una sorta di disagio, in fase di assorbimento con il passare del tempo, verso la modernità.
Le donne, con il loro corpo e con le loro storie, incarnano questo passaggio. Nella sua strutturazione economica originaria, incentrata sul rapporto esclusivo con la terra, il centro economico-sociale fondamentale era rappresentato dalla famiglia. Una famiglia strutturata in maniera gerarchica in cui dominava la figura maschile del padre – padrone ed all’interno della quale le donne avevano il compito esclusivo di garantire la prosecuzione della stirpe ed essere di supporto al marito nel lavoro dei campi.
Un ruolo di pura subalternità in cui dominava il silenzio. Il dialogo non era possibile. Un silenzio a cui le giovani donne, divenute mogli, erano state educate sin da bambine. Le cose da uomini non dovevano essere di loro interesse.
L’orizzonte della bambina di Erchie, e non solo, era già ben chiaro sin dalla prima infanzia. Il suo compito era quello di sposare chi la famiglia riteneva fosse il meglio passando di fatto dall’autorità paterna a quella coniugale. A fare da argine a qualsiasi elemento distorsivo c’era un rigidissimo sistema di controllo attuato dalla famiglia a tutti i livelli che spegneva sul nascere qualsiasi ardore rivoluzionario.
Ovviamente non mancano le situazioni in cui questo circolo vizioso si rompe. Ma anche nei frangenti in cui ciò avviene: fuga con l’amato con matrimonio di nascosto o scelta della vita monacale, l’atto di ribellione sembra condurre a nuove situazioni di assoluta subalternità che non garantitscono un reale miglioramento delle condizioni dell’essere donna.
Questo si evince in particolare dall’esperienza monastica intrapresa da alcune cittadine che, in pieno atto di ribellione verso la propria famiglia, hanno deciso di prendere i voti consacrando la propria vita a Dio. Nella loro scelta e tra le loro parole si scorge la ribellione, la voglia di autonomia che, tuttavia, è stata soffocata dalla rigidità delle regole del Convento e della vita religiosa. Queste donne, che hanno una naturale predisposizione a stare con i bambini liberano la propria voglia di maternità negli asili degli istituti religiosi, quasi a voler trasmette la propria voglia di autonomia e di alternativa possibile. Una alternativa che comunque prevede sempre la presenza di una autorità, da sempre letta come maschile, come quella divina che le porta ad essere considerate delle vere e proprie spose.
Si comprende facilmente che la costante azione di spersonalizzazione operata nei confronti della donna, ridotta ad essere un oggetto al centro di un libero scambio tra privati, ha ricadute molto pesanti anche nella percezione che si ha della donna oggi.
Una donna raccontata come volitiva, incapace al sacrificio, concentrata esclusivamente sui piaceri, che non sa quello che vuole, dominata dall’eccessiva libertà e che non è in definitiva capace di accettare un’unica presenza maschile nella sua vita. I giudizi più caustici giungono dalle donne più anziane che sottolineano la differenza tra come erano loro e come sono invece le giovani di oggi.
In passato, come detto, il futuro era caratterizzato da certezze incrollabili dettate dal ciclo della vita. Oggi la realtà è molto differente. Ad un crescente grado di benessere corrisponde, nella fase del tardo capitalismo dominato dalla crisi economico-sociale peggiore della storia, una crescita esponenziale dell’incertezza. Le giovani donne di oggi non riescono ad immaginare il proprio futuro con chiarezza e, soprattutto, non riescono a collocarsi nello spazio e nel tempo in maniera stabile con una figura maschile. A questa liquidità di prospettiva corrisponde una liquidità valoriale che porta in primo piano il presente percepito, per usare una espressione popolare, come se non ci fosse un domani.
A dare ulteriore complessità al quadro c’è inoltre un aspetto storico dettato dalle influenze che giungono dall’esterno. Grazie ad internet oggi è possibile conoscere molto meglio il mondo che ci circonda comprendendo sfumature e realtà che prima erano assolutamente impensabili. Le donne di oggi possono quindi confrontare la propria condizione con quelle delle altre realtà del mondo arricchendo molto il senso del proprio essere.
Se da un lato però il contatto virtuale conduce ad una potenziale crescita, dall’altro, influenza i comportamenti portando immagini stereotipate, semplicistiche e in alcuni casi semplicemente non vere del mondo che spingono alla presa di comportamenti interpretati dalla comunità come devianti e che possono generare in alcuni casi dei veri e propri cortocircuiti interpretativi.
Modernità e tradizione tuttavia sembrano convivere all’interno della comunità che, nonostante attriti inevitabili, sembra voler trovare una sintesi molto difficile.
Quello che emerge dalle rappresentazioni e dai racconti di tutti i soggetti coinvolti nella ricerca è la persistente definizione di donna in relazione a qualcos’altro.
Donna – Madre, Donna – moglie, Donna – servizi di cura, sono le associazioni più comuni a cui si aggiunge la necessità della doppia presenza, come eloquentemente definita da Laura Balbo, per mantenere una standard qualitativo di vita accettabile.
Manca in tutte le rappresentazioni una definizione di donna in quanto tale. Certamente siamo in una fase avanzata rispetto alle concezioni culturali di trenta o quarant’anni fa, ma continua a persistere la percezione di una donna definibile solo ed esclusivamente in unione con qualcosa di altro da sé.
Risulta del tutto evidente che questa mancanza di consapevolezza abbia delle ricadute molto pesanti sulla stratificazione sociale continuando a costituire di fatto un soggetto a metà.
In tutte le rappresentazioni manca, ad esempio, il racconto di una donna senza figli. La donna che non è mamma non appare una variabile possibile, se non in casi limite come la scelta monastica o per una disfunzione fisica. Una libera scelta in tal senso è interpretata, anche se non in maniera esplicita, ancora oggi come deviante.
Tutto ciò è riscontrabile anche nei racconti dei bambini e degli adolescenti che, influenzati dalle famiglie, dai media, e dai social, formulano giudizi socialmente accettati (no alla violenza, libertà, ecc.), ma non riescono ad elaborare immagini che non siano stereotipate.
“Con la loro dolcezza crollano delicatamente nella solitudine, magari senza mai dirlo a nessuno, magari subito dopo già ricomincia a scherzare e rendere felici gli altri”, così descrive la solitudine e la forza della donna di Erchie una ragazza di 14 anni.
Per fare uscire le donne da quella solitudine occorre pensare a strumenti che siano in grado di formare i giovani e le famiglie alle differenze di genere e che riescano a far maturare l’idea di autonomia nel mondo.
Il legislatore recentemente nella legge definita “La buona scuola” nell’articolo 1 comma 16 cerca di intervenire sul problema “Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall’articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, nel rispetto dei limiti di spesa di cui all’articolo 5-bis, comma 1, primo periodo, del predetto decreto-legge n. 93 del 2013.”
A questo tentativo di innovazione sociale sono seguite polemiche, prese di posizione e ricostruzioni false che hanno voluto vedere in questa norma una teoria del gender, in realtà inesistente, adducendo motivazioni pruriginose che nulla hanno a che vedere con la norma.
Aiutare la donna a definire se stessa, e gli uomini a comprendere l’alterità, sembrano essere le uniche strade percorribili per una società che voglia guardare al futuro in prospettiva.
Per fare questo occorre il coinvolgimento di tutti, perché anche da qui passa il treno per lo sviluppo.” – Vincenzo Sardiello