IL RACCONTO DEI RACCONTI

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20 Maggio 2015 di vincenzosardiello

La locandina del film

La locandina del film

Accolto da applausi e da frasi di approvazione e di meraviglia è finalmente arrivato nelle sale cinematografiche l’ultimo film di Matteo Garrone “Il racconto dei racconti”. Liberamente tratto da “Lo cunto de li cunti” di Giambattista Basile, l’opera, con un cast internazionale, traspone 3 delle fiabe contenute nel libro. Troviamo la storia della regina disposta a tutto pur di avere un figlio, la vecchia che si fa scorticare per riavere la giovinezza ed il re che dà sua figlia in sposa ad un orco.

Sin qui non si può che fare un plauso alla produzione, su cui spicca Rai Cinema, che ha rimesso luce su un’opera poco considerata della letteratura italiana e che Benedetto Croce definì “il più antico, il più ricco e il più artistico fra tutti i libri di fiabe popolari”. Ma molte volte le buone intenzioni non bastano.

Chi ha apprezzato questo film si è soffermato molto sulla potenza delle immagini, ed infatti la cosa migliore del film sembra essere proprio la fotografia di Peter Suschitzky, ma non trattandosi di un film muto sicuramente questo non aiuta a strappare la sufficienza.

Discutibile la scelta di incrociare i piani narrativi del racconto mescolando le tre fiabe, che per propria struttura sono portatrici di singole morali, creando grande confusione nello spettatore per i primi 20 minuti del film e facendo perdere forza alle storie.

Fuori luogo l’utilizzo impersonale della telecamera. La materia era feconda non si possono realizzare riprese come al filmino di un matrimonio. A volte la tecnica da sola non basta, occorre andare oltre, trovare la propria cifra stilistica. Garrone ci racconta la fiaba seguendo i personaggi e non lascia alcuno spazio al mondo dei protagonisti e alle loro reazioni.

I soggetti diventano la base per l’azione e non il fine. La scelta, di carattere commerciale, aiuta a tenere alto il ritmo del film per accontentare il palato di una platea adolescenziale ma non aggiunge nulla di nuovo al cinema e fa rubricare il tutto nella categoria del “già visto”.

Dialoghi insulsi, banali al limite dell’assurdo che rendono bene una idea di incomunicabilità ma non aiutano affatto a creare empatia con i personaggi. Alla fine del film forse quello con cui più si solidarizza è l’orco che dice solo una parola, per fortuna.

Oscena la scelta di utilizzare secchiate di sangue e scene di violenza allo stato puro. Ad un certo punto sembrava di assistere ad un film di Tarantino, senza il suo spessore però. Sangue a fiumi che non ha alcun fine catartico, anzi, il film è un atto d’accusa verso tutti, anche per gli spettatori che hanno avuto la cattiva idea di pagare un biglietto per sorbirsi due ore di nulla.

Imperdonabile la scelta di non rendere il film vietato ai minori di 14 anni. In sala c’erano molti bambini e vi assicuro che non sembravano particolarmente sereni dopo la visione del polpettone garroniano.

Morale della fiaba: se vuoi fare un semplice fantasy abbi il coraggio di scriverti una sceneggiatura tutta tua e di dirlo chiaramente così almeno sappiamo a cosa andiamo incontro quando le luci della sala si spengono.

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