LE BRACI DAL ROMANZO DI MÀRAI ALL’OPERA DI TUTINO
Lascia un commento13 agosto 2015 di vincenzosardiello
Troppo spesso capita, specie tra gli addetti ai lavori, di considerare con eccessiva sufficienza tutto ciò che è contemporaneo. E’ così, solitamente, in quasi tutti i campi che abbiano una certa attinenza con il mondo della creazione artistica.
Ancora di più questo pregiudizio si avverte nella musica. Sarà per via delle tendenze di una parte del Novecento musicale, sarà perché molti si rifiutano di accettare che esistano forme differenti di armonia, o sarà perché… è arrivato il momento di aprire una riflessione seria sulle forme di insegnamento della musica troppo vetuste e castranti per capire la profondità del pensiero musicale del secolo scorso e quindi per intraprendere un cammino serio orientato verso il futuro.
Ad avere invece un’idea molto chiara di quello che può essere la musica nel terzo millennio è Marco Tutino che, nella 41° Edizione edizione del Festival della Valle d’Itria, ha presentato la sua ultima creatura: “Le Braci”. Un’opera esteticamente intrigante con una scrittura musicale – mi si consenta un giudizio nè tecnico, nè assoluto – semplicemente bella, che accoglie e sposa i suoni e i ritmi di una Mitteleuropa che non esiste più e che nel periodo di ambientazione del racconto si sta definitivamente disgregando.
Le braci narra la storia di una resa dei conti tra due amici, attesa per quarant’anni, che si consuma in un nulla di fatto perché la verità ricercata era già conosciuta da entrambi i contendenti. Che cosa resta di tutto ciò? La vita. Una vita non vissuta, rimasta allo stato di bozzetto e che ha visto i due amici fuggire, uno riparato dalla calura malata dei tropici, l’altro rintanato in quella che era la sua tenuta di caccia.
Sono trascorsi giorni, mesi, anni. La donna, oggetto del loro contendere e moglie dell’uno e amante dell’altro, è morta. Non restano che fantasmi e polvere. Una polvere pesante che ormai opprime del tutto quello che resta dei corpi straziati dall’avanzare dell’età dei due protagonisti.
Hanno trascorso una esistenza proiettata ostinatamente verso il rimpianto per l’amicizia distrutta, per l’amore negato, per la giovinezza persa, per il talento sprecato, dimenticando la cosa più importante: vivere.
Delle loro esistenze non resta che un interno in decadenza, una vecchia foto, uno specchio che non riflette più immagini ma ombre ed una vecchia e consunta uniforme che non fa altro che accentuare il profondo senso di inadeguatezza dei protagonisti.
La bellezza dei fisici e della bella età ha ormai lasciato spazio esclusivamente al ricordo, un ricordo che non serba più rancore verso il passato. I due protagonisti sono stati feriti e guariti con il medesimo veleno: il tempo.
E’ proprio lui il grande protagonista dell’opera che segna volti e spirito e risolve definitivamente la disputa tra i due, troppo vecchi per sentire realmente la necessità di trovare la verità.
La menzogna e l’incomprensione li ha accompagnati per quarant’anni e continuerà a scortarli sino alla fine dei loro giorni con una nuova consapevolezza: ormai la loro vita è terminata, sono tutti morti.
La scelta di sovrapporre i piani temporali mettendo sulla scena contemporaneamente i protagonisti nella loro età avanzata e quella giovanile sottolinea ancora di più le aspettative mancate e le delusione che segnano passato, presente e futuro dei due amici.
Anche la scenografia, con l’interno della sala del casino di campagna in completa decadenza ed ai lati scenari campestri, sottolinea le chiusure e le corazze costruite sul rancore ed una indifferenza verso il mondo esterno che rimane sullo sfondo, quasi come una appendice inutile sulle loro esistenze.
Molto efficace la regia di Leo Muscato, capace di creare amalgama nei piani temporali e di costruire una narrazione fluida e coinvolgente per il pubblico.
Eccezionale il cast artistico e l’esecuzione dell’Orchestra Internazionale d’Italia diretta dal maestro Francesco Cilluffo.
Un’opera che rimane a lungo nella memoria dello spettatore e che ha molto da raccontare sul mondo di oggi che vive una fase storica di disgregazione e di cambiamento simile a quella del racconto.